In sottofondo: I don’t know what i can save you from – King of Convenience
R: Non so dire un momento preciso in cui è iniziata. E’ successo per caso quando per il compleanno dei miei 18 anni mi hanno regalato una digitale semicompatta. (Tecnicamente una macchina un po’ più avanzata rispetto alle classiche compattine.)
Dai 18 ai 25 anni quella macchina ha accompagnato ogni momento della mia vita e nella mia borsa alla Mary Poppins non mancava mai. Ecco, la mia passione è iniziata e maturata in questi anni. Poi un bel giorno mi sono laureata e mio padre per festeggiare mi ha regalato una reflex professionale. E grazie a questo regalo ho cominciato a contemplare la possibilità di trasformare la passione in una professione. Cosa che si è effettivamente compiuta con gli studi che ho fatto a posteriori.
Ma su tutto si può dire che in realtà non farei la fotografa se non avessi avuto al mio fianco una persona che ha valorizzato le mie capacità sotto questo punto di vista e che mi ha fatto trovare in questo modo la mia via nella vita.
D: La fotografia ha subito molte variazioni negli ultimi anni. Come credi sia cambiato il rapporto con essa anche in relazione al passaggio tra analogico e digitale ed infine con la diffusione degli smartphone?
R: Ogni volta che penso alle trasformazioni che ha subito la fotografia penso sempre che sia talmente cambiata che dovrebbe avere un altro nome. Scrivere con la luce è sicuramente il suo presupposto principale ovviamente, ma le possibilità che gli vengono da strumenti come photoshop, la rendono un territorio così nuovo, così lontano dalla fotografia com’è nata. Questo ovviamente da un punto di vista tecnico.
Da un punto di vista sociale invece, sintetizzando, si può dire che la fotografia era elitaria, mentre ora invece è di tutti. Questo è cambiato. L’unica cosa che spero è che questa sovrabbondanza di immagini, scatti e fotografi, renda piano piano le persone più critiche e più selettive… insomma che migliori la coscienza fotografica delle future generazioni.
D: Cosa è per te la fotografia e cosa invece non è?
R: La fotografia è per me una terra di mezzo tra me e il mondo. Ogni volta che ho a che fare con lei oscillo tra quello che il mondo mi svela della sua meraviglia nei dettagli, nelle persone, nella perfezione di alcune geometrie, nell’imperfezione armonica del caos, e quello che io posso dire di me al mondo.
Quello che non è non lo so, di sicuro quello che amo più di lei è la sua stretta connessione con la nostalgia, con il momento passato. Quindi forse la fotografia non è futuro. Ecco. Però è vita. Decisamente. E nella vita in fin dei conti c’è anche il futuro.
D: La mostra delle tue fotografie si chiama “Autoritrattandomi”, cosa ha rappresentato e che intento ha avuto questa scelta? L’indagine di sé stessi può essere dolorosa, la fotografia in questo senso ti ha aiutata?
R: “Autoritrattandomi” è un progetto nato da uno stimolo didattico. Nell’Istituto che ho frequentato, Istituto Italiano di Fotografia, c’è un corso dedicato a questo.
Non pensavo ma è effettivamente tra tutti è quello che mi ha più appassionato, in parte probabilmente per l’appagamento del mio narcisismo, ma anche perché l’io resta sempre l’elemento più a portata di mano che c’è!
Per me ha rappresentato moltissimo fare il mio primo lavoro su di me. Amo sentirmi vista, sentirmi a nudo, e questo lavoro mi spoglia nell’essere tutte le cose che sono: piccola, altezzosa, altissima, sicura, fragile, ironica, contraddittoria, dolorante, corpo, anima, nell’essere a colori, nell’essere in scala di grigi, nell’essere cornice al mondo, nell’esserne il centro, nell’essere un piccolo puntino dimenticato.
Racconta tutte le dimensioni del mio essere. Tra i commenti e le critiche che ci sono state è infatti stato anche detto che fosse un po’ dispersiva… Bene, mi autoritratta perfettamente!
Per quanto riguarda la funzione terapeutica dell’indagine del sé, consiglierei la terapia dell’autoritratto in più di un caso. Ricordo che la prima volta che ho cominciato a scattare autoritratti ero nella mia casa assolutamente non fotogenica con 39 di febbre.
L’unica cosa a disposizione era una parete bianca. Ho cominciato a scattare con grande perplessità su quello che sarebbe potuto essere il risultato. Poco a poco però lo scetticismo è svanito perché mi sono subito accorta di come si crei immediatamente un dialogo tra la macchina fotografica, posta sul cavalletto, e il soggetto.
La macchina diventa una seconda persona di fronte alla quale devi stupire te stessa e vergognarsi è un attimo. Non è facile lasciarsi andare. Ricordo che la sensazione era stata la stessa che si può provare in una seduta psicologica o durante un laboratorio teatrale. Proprio allo stesso modo ti mette in discussione e ti libera, ti mette in difficoltà e ti fa capire di più di te stessa.
D: La mostra è dedicata a tuo padre “che credeva nei tuoi occhi”. Quanto è importante la presenza di qualcuno che creda in te?
R: Questa domanda mi fa pensare al ruolo dell’attore, così istrionico, così forte, così “bastante a se stesso”. Ma cosa sarebbe l’attore senza pubblico? Ecco. Io senza qualcuno che crede in me ho la stessa spinta di un attore senza pubblico. Il ruolo dell’altro per me è fondamentale al pari dell’io stesso.
Gli occhi del fotografo sono il primo filtro della realtà, ancora prima dell’obbiettivo.
D: Come influiscono sulle tue fotografie le parole, i suoni, i profumi e tutte quelle sensazioni che si possono percepire con gli occhi chiusi?
R: A dire la verità faccio difficoltà a percepire gli altri sensi solo come altri sensi. Sarà che il senso più sviluppato che ho è la vista, ma realmente anche quando si tratta di parole, suoni, profumi, io vedo sempre qualcosa. Parto sempre dalla vista.
D: Stai lavorando a nuovi progetti in questo momento? E’ difficile trovare spazi in cui esporre?
R: Sto lavorando al secondo progetto dopo “Autoritrattandomi”, intitolato Estetica del Garage. Un lavoro che ho iniziato partendo dal presupposto che sia molto più stimolante cercare il bello dove non siamo abituati a saperlo cogliere, e per me il garage è esattamente questo, un luogo che nasconde la sua bellezza e la rivela solo a chi sa spolverare lo sguardo.
Poi c’è appena stata la mostra di autoritrattandomi, dopo Orvieto e Milano, a Roma, la mia città, finalmente!
Link Originale
http://avantporn.wixsite.com/avantporn/virginia-bettoja-intervista
A. Poletti